ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Walter Novellino

Spesso abbiamo usato il termine “viaggio” per introdurre le nostre interviste per “Mi ritorni in mente”. Un modo figurato per accogliere il lettore di questa rubrica, ad un percorso nel tempo che non torna più, dove i protagonisti di queste interviste ci raccontano di quando erano giovani e vivevano con la testa tra le nuvole, spensierati e felici con poco. Molti di loro, in questo spazio firmato TuttoLegaPro.com, ci hanno fatto entrare nelle loro vite, rendendoci partecipi delle loro esperienze vissute dietro ad un pallone. Quanti ricordi, quante emozioni e quante volte il brivido della commozione li ha colpiti al punto da farci sentire a disagio. Per questo sedicesimo appuntamento, abbiamo voluto onorare un grande del Perugia, uno che ha conosciuto la vera stella del firmamento biancorosso, il compianto Renato Curi, scomparso a soli 24 anni sul campo, durante un Perugia-Juventus. Il protagonista di questo appuntamento con "Mi ritorni in mente" è Walter Alfredo Novellino, che in Umbria ha lasciato un ottimo ricordo, sia come giocatore che da allenatore.
Come dicevamo nell’introduzione, questa volta il viaggio non è in senso figurato, perché la nostra chiacchierata con “Monzon” (questo il suo soprannome, per la sua somiglianza al famoso pugile) si svolge mentre guida per l’Italia, tra gallerie dove cade la linea e la voce diventa meccanica. Ci ha accolto come se lo conoscessimo da una vita, la sua gentilezza è il suo tratto distintivo. Sorridente e affabile, si concede volentieri per far vivere alle nuove generazioni che non l’hanno vissuto, il mito di Renato Curi e cosa ha rappresentato per lui la sua perdita. Non parleremo solo di questo: in questo ritorno alla gioventù ci racconterà la sua esperienza con la maglia del grifo.
Novellino da giocatore era un vero funambolo. Dribbling secco e spesso micidiale, sui calci da fermo sapeva farti male come pochi (ne sa qualcosa un certo Dino Zoff), faceva della corsa e della grinta i suoi tratti distintivi. Non ha giocato solo con la casacca biancorossa, ma tra le altre, ha indossato le maglie di Milan e Ascoli.
All’inizio di questa intervista è timido, quasi si trovasse sul manto erboso e noi fossimo l'avversario da battere. Con il passare dei minuti, si concede e ne esce fuori un ritratto di un uomo che ha saputo cogliere dalla vita tutte le sfumature più belle, tanto da divenire saggio e mai banale, pronto ad infilare la nostra porta con uno di quei suoi calci piazzati che tanto hanno fatto le sue fortune da calciatore.
Mister, dalla sua ultima esperienza lavorativa (sulla panchina del Livorno nel 2011), è passato quasi un anno. Non le manca un po' l'atmosfera delle domeniche in panchina?
"Certo che mi manca, ma è il nostro lavoro e devo accettare anche questo momento un po' così. Nel frattempo giro per i campi e guardo calcio, anche all'estero, cercando di tenermi sempre aggiornato".
All'estero? Vorrebbe fare un'esperienza lontano dall'Italia?
"E' un'idea che potrebbe divenire realtà, avrei modo di confrontarmi con un paese diverso dal nostro. Se capita l'occasione non mi dispiacerebbe".
Ci racconta i suoi esordi nel mondo del calcio?
"Negli anni '70, quando ho cominciato, ad oggi sono cambiate tante cose. A me piaceva molto la genuinità con cui si viveva il calcio a quei tempi. Non smetterò mai di ringraziare le persone che mi hanno aiutato in questo tragitto, perchè ho sempre avuto la fortuna di avere la famiglia dietro le spalle, prima con mio padre e mia madre che mi hanno dato un supporto morale e di insegnamento di valori, fondamentale, poi con il matrimonio e la vicinanza di mia moglie e dei miei figli, con cui ho vissuto i momenti belli e brutti che questo mestiere ti mette di fronte. Senza di loro a quest'ora credo che non sarei qui a raccontarle questi ricordi con il sorriso sulle labbra".
Quale il suo ricordo di Perugia e della squadra umbra?
"Ero molto giovane, quindi ho saputo vivere l'aspetto più ludico di quell'esperienza. Conservo un ricordo bellissimo, perchè in quegli anni si stava costruendo un movimento sportivo intorno alla squadra biancorossa e c'è un particolare che non dimenticherò mai. Sembrava destino che dovevo capitare lì. Ricordo che quando arrivai, c'era tutta la città piena di bandiere, c'era un entusiasmo contagioso (mentre lo racconta, spesso lo sentiamo sorridere emozionato) e mi dicevo tra me e me: io qui devo fare qualcosa di bello perchè la gente ha il Perugia dentro l'anima".
Mentre si chiacchiera, lo sentiamo più disinvolto e ogni tanto ci scappa una battuta. E' contento di parlare con noi, questo viaggio a ritroso lo fa sentire più ragazzino, nonostante gli anni che ha se li porti benissimo.
C'è un momento che ha segnato per sempre la sua vita: il 30 ottobre 1977. Una data che rimarrà storica nel cuore dei tifosi perugini: "Giocavamo contro la Juventus, lo stadio era gremito in ogni ordine di posto, lei non immagina che entusiasmo c'era sugli spalti - allora il calcio era ancora una passione viscerale che ti entrava nelle vene -. Era tutto bellissimo, quando ad un certo punto, ad inizio secondo tempo - non potrò mai dimenticarlo, poteva essere il quinto o il sesto minuto -, vedo i compagni girarsi e vedo Renato steso a terra. Non capisco cosa possa essere successo. Ancora oggi non ci credo. Guardi: la morte arriva e lo sappiamo, è il ciclo naturale, ma in quel modo è assurdo. Non voglio essere retorico, ma Renato era una persona di una forza interiore enorme e vederlo andar via così è qualcosa di drammatico che ancora oggi non riesco a spiegare".
Che giocatore era Renato Curi?
"Molto sicuro di sé, un fisico imponente e un sinistro di quelli che non passavano inosservati. Al di là di tutto, era l'uomo che più ti colpiva: gli volevi bene proprio per la sua unicità nell'amarsi e nel farsi voler bene. Era straordinario, sapeva sempre metterti a tuo agio anche nei momenti di difficoltà, pronto a regalarti un sorriso anche dopo una sconfitta".
Ci racconta qualche episodio simpatico che è capitato con lui?
"Dunque ... un episodio simpatico ... Adesso che ci penso, ricordo che negli allenamenti quando facevamo i cento metri, lui dopo essere arrivato, si guardava e da guascone che era diceva: 'ammazza che fisico che c'ho, guarda qua, so' troppo figo'. Era un matto ma nel senso buono".
Tornando a parlare del Perugia: ricorda il suo debutto con la maglia del grifo?
"Come no! Eravamo in "Mitropa Cup" (trofeo a cui, fino al 1978 partecipavano le squadre di alcuni paesi: Jugoslavia, Cecoslovacchia, Italia, Austria e Ungheria. Nel 1979 cambiò formula e vi potevano partecipare i club che vincevano i rispettivi tornei di serie B, per poi scomparire nel 1992). In panchina c'era Ilario Castagner. Fu una grande emozione per me, perchè da lì cominciò la mia avventura con il Perugia".
Avventura poi proseguita anche come allenatore (prima esperienza nel 1992, poi nuovamente nel 1995).
"Di questo devo ringraziare sempre il presidente Luciano Gaucci. Era uno molto intuitivo e sapeva guardare lontano. Dell'opportunità che mi ha dato non smetterò mai di ringraziarlo. Non dimentico che ero agl albori della mia carriera da allenatore".
Prima di proseguire, volevamo chiederle se ha qualche rammarico nella sua carriera, prima da giocatore e poi da allenatore.
"Bella domanda. Ritengo di non avere rimpianti nella mia avventura da calciatore, mentre da allenatore la storia è diversa".
In che senso?
"Non avrei accettato di tornare in B (alla Reggina nel 2009). E' un errore, ma da questi si impara per il futuro".
Lei esclude a prescindere una nuova esperienza in Lega Pro?
"Si, in linea di massima si, ma nella vita mai dire mai. Il lavoro non si disprezza, ma credo che poi dipenda sempre dai progetti che ti vengono posti davanti agli occhi. Non è in cima alla mia lista dei desideri ecco, mettiamola così".
Assolto questo passaggio, si torna a parlare dell'attualità. Novellino sui giovani crede molto e ritiene giusto rischiare su di loro, anche se: "Qui in Italia sei inchiodato al risultato, da quello non si sfugge. Puoi provare tutti i giovani che vuoi, ma se i risultati non arrivano, come allenatore sei il primo a pagare. Così diventi schiavo di alcuni meccanismi del sistema calcio in Italia".
Lo sguardo va ai tempi di quando c'era lui sul campo: "C'era sicuramente più accortezza nel settore giovanile. Si guardava con attenzione a questo aspetto, perchè i giovani erano realmente il futuro di parecchie società. Si investivano somme importanti sapendo che era un costo sul futuro. Trovarti un campione in casa era una fortuna non da poco".
Spesso si parla delle cifre iperboliche che girano nel mondo del calcio. Secondo lei quanto può influire nella crescita di un ragazzo il fatto di vedersi arrivare milioni di euro all'improvviso? Crede sia moralistico come argomento?
"Non credo ci sia del moralismo, però bisogna capire che i calciatori hanno una vita professionale molto breve e cercano di ottimizzare i guadagni al massimo. Sono equiparati alle star dello spettacolo e in un certo senso guadagnano anche meno in base a ciò che fanno fruttare. Adesso la crisi sta attanagliando tutto il sistema, così avviene che certi compensi non siano nemmeno più possibili. Se mi permette però, vorrei aggiungere un passaggio fondamentale sui giovani".
Ci mancherebbe: prego.
"Ecco, credo che le politiche messe in campo negli ultimi anni, tipo il contributo che la Lega Pro stessa dà alle società che impiegano i giovani, oppure la serie B che è divenuta un serbatoio importante per i giovani. Certo, con i giovani bisogna aver pazienza, perchè sono umorali, sono alle loro prime esperienze e pagano dazio, ma è una via di non ritorno. Io paragono la scelta di puntare su di loro come quando si getta un seme e questo ha bisogno di crescere. Però poi, come detto: è un gatto che si morde la coda per i motivi che le ho spiegato, ma la cosa è positiva sicuramente".
Questo è un argomento a cui tiene tanto e infatti si accalora, ma rimane sempre quel suo aplomb che abbiamo sempre apprezzato nelle sue interviste.
In questo nostro viaggio, Walter Alfredo Novellino ha aperto per noi quel libro delle emozioni. Vogliamo continuare a sfogliare le pagine della sua carriera, così lo stuzzichiamo ancora un po'.
Il suo gol più bello?
"Con la maglia del Perugia? Un bel pallonetto all'Ascoli, un gran bel gol".
Mentre nella sua carriera?
"Qui non c'è bisogno nemmeno che ci penso: i due gol che feci a Dino Zoff con la maglia dell'Ascoli".
Scelta giusta, visto il personaggio.
"Ma avevano anche un valore simbolico importante, perchè con quelle reti riuscimmo a salvarci".
Il suo idolo da giovane?
"Sono interista fin da bambino e il mio giocatore preferito era Sandro Mazzola. Era raffinato come pochi ed era bellissimo vederlo giocare. Ho provato ad emularlo, ma con scarsi risultati (ride mentre lo dice, ndr). Ora che ne parlo, ho un bellissimo ricordo di gioventù: giocavo con la Pomense - formazione dell'hinterland milanese - e ho ricevuto un premio. A consegnarlo fu Benito Lorenzi (detto veleno per il suo comportamento sempre sopra le righe). Davvero una bella emozione".
Si conclude con questo momento particolarmente sentito, la nostra chiacchierata con Walter Alfredo Novellino. Anche il 16° appuntamento con "Mi ritorni in mente" si chiude, così a noi non resta che ricordarvi che la prossima puntata della rubrica firmata TuttoLegaPro.com è per domenica 28 ottobre.
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