TuttoLegaPro.com ... in rosa: Lorenza Visentini (direttore sportivo Delta Porto Tolle)

Una donna al mercato. Con un netto salto di qualità: non quello settimanale, nella piazza del paese, ma il calcio-mercato, la parte sportiva ormai preponderante nell'immaginario dei tifosi. Lei è Lorenza Visentini, giovane direttore sportivo del Delta Porto Tolle. Insieme alla collega del Pontedera, Giulia Tanini, rappresenta la categoria delle diesse italiane professionistiche. Ma, è dato assodato, con molto più peso in questioni di mercato. TuttoLegaPro.com l'ha intervistata in esclusiva per la sua rubrica settimanale sulle donne.
Come è stato questo suo primo anno da direttore sportivo in Lega Pro?
"Duro e difficile, visto che noi l'abbiamo vissuto da realtà neopromossa. E' stato abbastanza impegnativo, ma è anche stato un anno in cui ho imparato molto: il salto dai dilettanti ai professionisti mi ha permesso di conoscere un mondo totalmente diverso. E' stato quindi anche un'annata di crescita per me. Devo dire che mi sono trovata bene con i colleghi che ho trovato sugli altri campi. La mia è una valutazione positiva da un punto di vista strettamente personale, poi come squadra siamo ancora in corsa per la salvezza e il consuntivo lo faremo solo alla fine".
Questo amore per il pallone è nato col Delta Porto Tolle?
"No, ho sempre seguito il calcio. Ero juventina e appassionata: amavo molto Roberto Baggio, è sempre stato il mio idolo da piccolina. Certo è che non avrei mai pensato di fare questo lavoro nella mia vita, ma quando nella stagione 2006/07 la mia famiglia ha rilevato la società ho cominciato anche a lavorarci dentro. Dapprima in ruoli che più si addicono ad una donna - addetta stampa e segretaria - e poi dopo la gavetta sono diventata direttore sportivo già nell'anno in cui militavamo in Serie D. Avendo poi vinto il campionato ho potuto frequentare il corso per direttori sportivi e ho continuato su questa strada proprio perché già precedentemente avevo visto che me l'ero cavata egregiamente: me lo dico da sola (ride, ndr)".
Ha riscontrato qualche difficoltà legata al fatto che è una delle pochissime donne a ricoprire questo ruolo?
"Sì, qualcuna sì. E' inutile nascondere che la credibilità di un uomo in questo ruolo è maggiore, quindi verso di me c'è stata un po' di diffidenza sia da parte dei procuratori sia da parte dei giocatori, ma in generale da parte di tutte le categorie che appartengono a questo mondo. Gli uomini la vivono un po' come un'invasione di campo da parte di noi donne, ma erano difficoltà che avevo messo in conto avrei trovato lungo il mio cammino.
A volte trovo anche siano giustificate: è giusto che un direttore sportivo, ex calciatore o con percorsi forti all'interno del mondo del calcio. abbia diffidenza verso una persona - non tanto una donna - che non ha mai giocato a pallone. Insomma sono atteggiamenti che se fossi dall'altra parte, probabilmente avrei anche io. Non mi stupiscono. Anche se c'è da sottolineare che non tutti i direttori sportivi sono ex calciatori e tutti possono vedere le partite così come le vedo io. Per cui la conoscenza tecnica sui calciatori la posso avere io così come loro.
Insomma se sei stato un ex calciatore sei avvantaggiato perché, al contrario di una donna, conosci l'ambiente dello spogliatoio e il rapportarsi coi calciatori stessi, ma tutto il resto lo si impara sul campo indipendentemente dal sesso. Per questo sento di poter mettermi al pari degli altri direttori sportivi".
In un suo intervento nel corso del Convegno, ospitato dalla Sezione arbitri di Rovigo ed intitolato "Il Rigore Femminile", dedicato proprio al tema del ruolo della donna nel mondo arbitrale e nello sport ha dichiarato: "La parte più difficile del mio mestiere non è il mercato, ma la gestione del gruppo: in rosa ci sono venticinque giocatori o più, mentre in campo ne vanno undici, bisogna gestire gli infortuni, le litigate con il mister...".
"I giocatori bravi si conoscono e se sei un bravissimo direttore sportivo riesci a scovare anche giovani bravissimi. Questo comunque lo si impara, avendo passione e conoscenze calcistiche. La cosa più difficile, che secondo me deve essere una dote innata del direttore sportivo, è quella di saper relazionarsi con giocatori che hanno abitudini diverse e che vivono durante l'annata situazioni diverse: c'è l'infortunato, c'è chi non gioca mai e si accomoda in tribuna, c'è chi è forte ma è ancora troppo giovane per capire certi meccanismi... Ogni giorno bisogna sempre affrontare problemi, o meglio bisogna tener presente che si ha sempre davanti persone diverse tra loro da affrontare singolarmente e in gruppo, dando al gruppo stesso la forza di andare avanti. Quest'anno la parte più difficile è stata proprio quella di trovare ogni volta le motivazioni per andare avanti. Non per quanto riguarda la società, ma per quanto riguarda il gruppo: siamo arrivati all'ultima partita con l'Alessandria che non sapevamo come affrontare lo spogliatoio. Ci abbiamo perso un'ora di tempo, ma abbiamo parlato coi ragazzi a cuore aperto e i risultati sono arrivati. E' fondamentale, ma è la cosa più difficile, riuscire a reggere il gruppo. E poi ha grande importanza anche il rapporto col mister e lo staff, ma sono molto più gestibili perché si tratta di una sola persona e non di venti e più ragazzi, tutti diversi tra loro per età ed esperienza".
Nell'amalgama di squadra ha influito il fatto che vi siete trovati in squadra ragazzi provenienti dalla Serie D e nuovi giocatori professionisti?
"E' stato un gradino da superare. Naturalmente si veniva dalla gestione di una squadra di Serie D molto più semplice e tranquilla e si è passati ad un'annata in cui molti sono rimasti dopo aver vissuto la vittoria del campionato, ma comunque in una serie più difficile e con altri protagonisti già professionisti che pretendevano - giustamente - che le cose andassero in una certa direzione. Anche sotto questo profilo la nostra società è cresciuta molto perché è stata portata una mentalità all'interno dello spogliatoio che prima non c'era. Devo ringraziare questi ragazzi arrivati quest'anno, perché ci hanno portato qualcosa di positivo. Dall'altra parte ho avuto ragazzi provenienti dai dilettanti che hanno accolto bene questo cambiamento e - anche se non subito - hanno assorbito il tutto crescendo. E' stato tutto positivo, anche se difficoltoso in prima battuta".
Quando ha frequentato lei il corso da direttore sportivo era l'unica donna: sensazioni?
"Ero l'unica su circa quaranta partecipanti, tra cui calciatori di tutto rispetto, come Manfredini e Cordoba. Per me era come stare davanti ad una vetrina di gelati perché vedevo seduta vicino a me gente come ad esempio Budan ed ogni giorno era per me una scoperta. Loro mi raccontavano spesso delle loro esperienze in campo e condividevamo gioie e dolori del campionato: al lunedì, quando arrivavo, se avevamo perso mi consolavano. Probabilmente un po' di diffidenza inizialmente c'è stata, ma è normale: una donna con trentanove uomini viene accettata perché ci troviamo di fronte a persone intelligenti, ma sempre con quel pizzico di diffidenza. Ma chi, come me, ha intrapreso questa strada sa benissimo a cosa va incontro e non si spaventa di certo".
Anche il fatto che suo padre Mario è il presidente del Porto Tolle ha contribuito ad aumentare la diffidenza suoi confronti?
"Sicuramente, ma quando mi vengono fatte notare queste cose invito sempre le persone a trascorrere una giornata con me: non so se poi farebbero cambio (ride, ndr). Si lavora sempre 24 ore su 24: è vero, sono la figlia del presidente, non lo nascondo, anzi probabilmente non avrei mai fatto questo mestiere se non ci fosse stato papà come presidente, però ho anche due fratelli maschi cui non interessa assolutamente niente di calcio: la patata bollente è stata lasciata a me".
Che tipo di confronto avviene con suo padre sul lavoro? E' contento di poter lavorare a stretto contatto con lei?
Ci telefoniamo dalle 20 alle 30 volte al giorno, vista la situazione attuale un po' traballante. Parlare di contentezza in questo momento è usare una parola grossa: siamo in bilico, anche se domenica scorsa ci è andata bene non siamo ancora tranquilli. Quando è iniziata la stagione le nostre speranze erano ben diverse: credevamo di poter raggiungere la salvezza diretta, ma non avevamo tenuto conto di un campionato così difficile.
Anche papà ha metabolizzato le difficoltà incontrate sul nostro percorso: stiamo spingendo tutti insieme verso un'unica direzione. Papà è molto fumantino e bisogna cercare di arginare le sue manifestazioni. Vive tutto con molta passione, ma non essendo dentro le situazioni come me spesso non capisce alcune dinamiche e bisogna assorbire al meglio quello che dice (ride, ndr). Comunque è invidiabile la sua passione.
Di certo è dura lavorare a stretto contatto col proprio padre per ventiquattro ore al giorno: nel bene e nel male finiamo per dirci tutto ciò che ci passa per la testa, data la confidenza innata. E' anche vero, però, che devo solo ringraziarlo per tutti i lavori che facciamo insieme: come detto, ha questa grossa qualità di farti respirare passione per tutto ciò che fa. E' una qualità importantissima".
Visto l'importanza che ricopre il suo lavoro e quanto la assorbe in termini di tempo, come riesce a gestire la vita privata?
"Oramai di privato c'è ben poco: vado a casa solo per dormire e poi la mattina si ricomincia. Quando fai questo lavoro, fai fatica ad avere una vita privata. Limiti qualsiasi tipo di divertimento e lasci andare tante cose: fa parte del gioco, ma quando c'è la passione, non comporta nessun sacrificio".
Con suo padre porta avanti anche l'azienda di famiglia: se guarda al futuro pensa che riuscirà a mantenere entrambi gli impegni o dovrà inevitabilmente dedicarsi ad uno solo?
"Non so rispondere: io faccio l'avvocato, lavoro in azienda e faccio il direttore sportivo. La mia giornata è veramente impegnativa. Se dovessi scegliere tra continuare a lavorare nel calcio e rimanere in azienda, farei molta fatica. Dove dovessi lasciare, lascerei appunto un pezzo di cuore. Sicuramente l'azienda non potrei abbandonarla, visto che senza di essa non esisterebbe il calcio. E' meglio tener ferma la parte forte. Per quanto riguarda la squadra, finché vedrò che riuscirò a gestirla personalmente non esiterò a farlo. Quando mi renderò conto che l'impegno diventerà gravoso, lascerò ad altre persone. Tutto questo però è in via di valutazione: a me piace fare le cose per bene, quando mi renderò conto che non riuscirò più a farlo, sarà arrivato il momento di ragionarci a fondo".
Prima ha accennato al fatto che il suo percorso all'interno del Porto Tolle è iniziato da ruoli diversi rispetto a quello che ricopre ora: può approfondire questo aspetto?
"Ho iniziato il primo anno come addetta stampa e allora dalla Prima Categoria avevamo fatto il salto in Promozione. Poi ho cominciato ad occuparmi della segreteria, quindi dei contratti studiando le normative legate agli stessi. Ma ero sempre a diretto contatto con la squadra. Quando abbiamo fatto il salto in Serie D - nella stagione 2011/12 - ho cominciato a seguire la squadra come aiutante del direttore sportivo, insomma affiancavo il ragazzo che era con noi lavorando sul mercato. Essendo poi una realtà piccola ed al primo anno nel professionismo, in questa stagione ci siamo strutturati piano piano e non abbiamo avuto direttore generale. Ma stiamo già cercando nuove figure da inserire".
Ma c'è un ruolo che non ha mai ricoperto e che la attira più degli altri?
"Mi piace ciò che ho. Posso confrontarmi con le persone, dialogare con i ragazzi: questo è il bello di questo lavoro. Non avendo fatto il calciatore per motivi di sesso, scoprire come si vive lo spogliatoio e quali sono le dinamiche al suo interno, per me è stato molto interessante: mi ha aiutato ad imparare a relazionarmi con tante persone diverse. Mi ha fatto crescere".
Tornando al campo, al di là di come andranno i play-out cercherete di rimanere nel professionismo il più a lungo possibile?
"Intanto pensiamo alla partita di domenica che probabilmente sarà quella più difficile. L'importante è arrivare in finale e solo allora potrò dire che sarà quella la partita più difficile. La nostra volontà comunque è quella di rimanere nel professionismo e di migliorarci. Sappiamo di aver avuto qualche carenza societaria, ma - come detto - ci stiamo lavorando. Abbiamo poi un grosso progetto legato al settore giovanile: tutto dipenderà dal mantenimento della categoria".
Cosa ci può dire, invece, dei rapporti che ha instaurato con la Lega Pro e con le tante donne presenti al suo interno?
"Sinceramente le ho conosciute, ma non sono riuscita a costruire grossi rapporti. E' vero: in Lega Pro sono presenti molte ragazze e con loro ci vediamo spesso durante gli incontri istituzionali. Ma oltre alle telefonate di lavoro non sono andata. Comunque è sempre bello quando le donne si organizzano per costruire qualcosa di importante. Per questo ci tengo a ricordare che in un paio di occasioni in questa stagione siamo stati arbitrati da una donna (Silvia Tea Spinelli, già ospite della nostra rubrica, ha diretto Forlì-Delta Porto Tolle in campionato e Vicenza-Delta Porto Tolle in Coppa Italia Lega Pro, NdR): è un segnale che ti incoraggia in quello che stai facendo, visto che a volte ci sono momenti di sconforto. Ma quando vedi che figure femminili sono riuscite ad arrivare a lavorare in Lega a Firenze piuttosto che a diventare arbitro di tutto rispetto in Lega Pro e in serie maggiori, ti dà grande coraggio. Tra di noi comunque c'è molto rispetto e stima".
Nel vostro team quante donne collaborano?
"Ho un paio di ragazze che lavorano la domenica in campo e il mio braccio destro è una donna: si chiama Paola, mi aiuta quotidianamente nella gestione societaria e affianca il nostro segretario storico. E la mia idea è quella di inserirne anche altre. Senza nulla togliere agli uomini, le donne sul lavoro da un punto di vista organizzativo sono molto più applicate. Gli uomini sono molto più farfalloni, senza voler offendere nessuno. Noi siamo più precise, anche se forse saremo più rompiballe (ride, ndr)".
I vostri giocatori come vivono il fatto di dover interagire con un direttore sportivo donna? Non è mai successo nulla un po' sopra le righe?
"Patti chiari e amicizia lunga: battutine e commenti non ce ne devono essere. Prima di tutto viene il rispetto. Poi se succede che le fanno al di fuori del lavoro, non lo so e non lo voglio sapere. Nei miei confronti c'è sempre stata molta correttezza: a volte si preoccupano per me e sono molto rispettosi. Ma se dovesse succedere qualcosa, saprei comunque difendermi".
Nonostante rappresentiate una piccola realtà come Porto Tolle (circa 10.000 abitanti), avete un buon gruppo di tifosi che vi seguono ovunque. Con una corposa presenza femminile...
"La nostra tifoseria è affiatata e ci segue ovunque: basti pensare che quando eravamo in Serie D e c'era il Venezia nel girone con noi, sono venuti in trasferta a Venezia in 700. L'anno scorso alla finale di Coppa Italia a Perugia sono venuti in 500: abbiamo numeri importanti in trasferta mentre in casa facciamo tra gli 800 e i 1000 spettatori. Abbiamo il nostro gruppo affezionato: io dico sempre che senza di loro non ci sarebbe neppure il Delta. Sono loro che ci danno la forza per andare avanti: quando si ha una realtà così piccola, ci si trova davanti a difficoltà, come ad esempio il fatto che quando i giocatori vengono qui non conoscono il paese oppure anche il fatto che mancano le strutture. Ma quando vedi che la gente ti segue ovunque, ti viene voglia di andare avanti.
Riguardo le donne, c'è una nutrita rappresentanza femminile. Anche loro sono grandi appassionate: a volte rimaniamo senza parole. E' successo proprio a Cuneo domenica scorsa: ad un certo punto, mentre ero in campo, mi sono girata e c'era tutta una tribunetta biancazzurra. C'erano una ottantina di persone che si è sobbarcata una quantità di chilometri importante per poter venire, insomma i nostri tifosi fanno tanti sacrifici".
Diciamoci la verità: quanto ha influito il fatto di essere molto carina nel suo lavoro? Le ha creato problemi in un ambiente così maschile o è stato un punto di forza?
"Problemi no, a parte qualche messaggino di troppo. Ma si conclude tutto lì. Difficoltà direi pure di no. A volte può succedere che parli con giocatori attirati anche dal fattore estetico, ma credo che in fin dei conti ai calciatori interessa ben altro rispetto alla mia figura. Il contratto è molto più importante: a me non è mai successo di portare qualcuno gratis. Il mio potere di donna, quindi, non funziona (ride, ndr)".
La assumerebbe una allenatrice donna?
"Nel nostro settore giovanile l'anno scorso c'era una ragazza che faceva l'allenatrice. Questo perché le donne a livello psicologico coi bambini hanno naturalmente quella capacità di trasferire certi valori e di riprenderli al meglio. La donna ha istinto materno ed è l'ideale per i pulcini, se non come allenatrice come spalla dell'allenatore stesso. In prima squadra poco conta uomo o donna, bisogna avere le qualità. Se una capisce di calcio ed ha un passato nel calcio femminile, si è fatta un'esperienza sul campo e potrei pensarci".
Non è convintissima, però...
"No, non lo sono perché torniamo al discorso della diffidenza: io stessa da donna sono diffidente nei confronti di una allenatrice del mio stesso sesso. E' normale: non lo vedo come un problema. Dobbiamo metterlo in conto, altrimenti non facciamo direttamente questo tipo di lavoro. Io dico: ben venga la diffidenza se ti permette di acquisire motivazione per fare di più".
Ha mai avuto a che fare con procuratrici?
"No, al di là di qualche rara telefonata, non ho mai avuto il piacere di entrare in contatto personalmente con procuratrici. Ho sempre avuto a che fare con uomini. Ma è stata una casualità, non una volontà".
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