ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Giancarlo Finardi

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: Giancarlo FinardiTMW/TuttoC.com
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domenica 17 marzo 2013, 22:30Interviste TC
di Daniele MOSCONI
27° appuntamento

Mentre scriviamo, la Cremonese in questi giorni festeggerà i suoi 110 anni di storia. Il compleanno cade il 24 marzo, ma, ironia della sorte, questo evento capita nella stagione dove il girone A di Prima Divisione, è composto da un numero dispari di formazioni (17), il che impone ad ognuna di loro un turno di pausa. La Cremonese dovrà fermarsi proprio il giorno del suo centodecimo anniversario e la società ha voluto anticipare una festa che ha un valore affettivo prima che simbolico, due giorni prima: venerdì 22 marzo.

Conosciuta in tutta Italia per il suo Torrazzo, che dall'alto della sua maestosità, è il simbolo di Cremona. Una città che ha dato i natali a personaggi come Antonio Cabrini (campione del mondo a Spagna 1982), l'intellettuale Michele Salvati, l'attore Ugo Tognazzi ed al violinista Antonio Stradivari, giusto per dire i primi che ci vengono in mente.

Nella sua storia calcistica, per oltre sessant'anni i grigiorossi hanno sfiorato la serie A, senza mai raggiungerla. Ma la tenacia viene premiata e nella stagione 1983/84 sotto la guida tecnica di Emiliano Mondonico e la presidenza di Domenico Luzzara, finalmente hanno potuto coronare il loro sogno. La Cremo, come è affettuosamente chiamata da chi le vuol bene, si scontra contro le superpotenze del calcio di quegli anni: la Juventus di Trapattoni e Platini, l'Inter di Altobelli e Rumenigge, il Milan di Liedholm e gli inglesi Wilkins e Hateley. In quella squadra che arrivò in Serie A, c'era un giocatore su tutti: Giancarlo Finardi.

Attaccante veloce e molto tecnico, ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile dell'Atalanta, senza mai riuscire ad esordire. Nel 1973 viene trasferito alla Cremonese e qui grazie alla tempra di Titta Rota, allenatore dei grigiorossi, esordisce in prima squadra e lascia il segno nel cuore dei tifosi. Il suo sinistro fece subito innamorare una città che l'ha adottato fin da subito come prorio idolo. E lui ha ripagato quell'affetto a suon di gol, arrivando a regalare prima la promozione in B e poi quella in A. Gino Paoli in una sua famosissima canzone, una cosa simile l'ha chiamata: una lunga storia d'amore.

Un sentimento nato grazie al carattere schivo e riservato di un giocatore che ha amato il calcio come poche cose nella sua vita e per la Cremonese ha dato tanto, mettendoci l'anima. Quella che poi ti rende vero, facendoti apprezzare anche da chi come noi, l'ha conosciuto solo via cavo. All'inizio dell'intervista Finardi è molto sulle sue, immaginando chissà cosa gli avremmo chiesto: "Di cosa si parlerà?" chiede con una voce che arriva metallica per via delle zone non ancora coperte al meglio dal segnale per i cellulari. Quando gli spieghiamo di cosa si tratta, si lascia andare, ma è sempre sulle sue.

Più le domande diventano intime e toccano angoli del suo cuore che gli anni hanno solo reso più tenui, più Finardi si sente a suo agio e vive con emozione il suo racconto e il sorriso spesso anticipa le sue parole. Da una sorta di biografia della sua carriera a Cremona, si passa in un amen a sentire il battito del cuore che parla al suo posto. Una sensazione particolare che traspare dalle sue parole, ingentilite da un tono di voce molto pacato.

Finardi, tu hai iniziato a giocare agli inizi degli anni '70 e hai terminato la tua carriera quasi agli albori degli anni '90. Quali sono le differenze che hai notato maggiormente in quei due decenni?

"Uff, molte! Ad esempio una delle prime cose che ricordo maggiormente erano gli allenamenti. Era difficile trovare qualche società che lavorasse in maniera diversa: era un calcio più povero e tutti, chi più chi meno, avevano gli stessi strumenti. In più una squadra di serie C si allenava - parlo degli anni '70 - mediamente tre volte a settimana.Oggi i Giovanissimi svolgono tre allenamenti a settimana. Le tattiche c'erano, ma si era ai primordi del tatticismo esasperato di oggi, l'importante in un certo senso era far gol. Verso gli inizi degli anni '80, se non ricordo male il 1979, iniziano i supercorsi di Coverciano e già da lì qualcosa di diverso anche come allenamenti e movimenti in campo si vede. Posso dire che prima di questi corsi, vivevamo in un semiprofessionismo e tutti eravamo allo stesso livello".

Tu hai fatto tutta la trafila nelle giovanili dell'Atalanta, ma l'esordio l'hai fatto con Battista Rota detto "Titta". Che ricordo hai di quell'allenatore?

"Era un secondo padre per me. Dirò una frase fatta, ma lui è stato una figura di riferimento importantissima per me. Mi ha insegnato come essere calciatore, facendomi esordire nel calcio che conta".

Ricordi qualche compagno di squadra nel settore giovanile dell'Atalanta?

"Certo, c'era Luciano Bodini (portiere), Cesare Prandelli (attuale Ct della nazionale) e Domenico Marocchino. Tu pensa che tra il 1978 e il '79 loro passano alla Juventus, mentre io torno alla Cremonese. Quando si dice la fortuna".

Questa battuta viene accompagnata da una risata che apre uno squarcio nella sua riservatezza. Le domande e i pensieri si susseguono, Finardi è sereno, si sente dalla sua voce che mano a mano diventa sempre più confidenziale. Ormai non è più un'intervista: è uno scambio di confidenze tra amici.

Tornando alla tua esperienza con la Cremonese, hai avuto compagni di squadra di un certo livello. Partiamo dal bell'Antonio, così era soprannominato Antonio Cabrini.

"Gran bel giocatore davvero. Si vedeva che era bravo e la sua forza era la sua consapevolezza nei suoi mezzi. Ricordo che esordì a fine campionato 1973/74. Alla fine ha fatto una carriera importante, arrivando a vincere un mondiale in Spagna nel 1982".

Com'era il clima nei settori giovanili del tempo?

"C'era sicuramente un rispetto maggiore. L'allenatore ci faceva da secondo padre e ci insegnava la cultura dello sport ed in primis il rispetto dell'avversario. E soprattutto quando uno di noi arrivava alle porte della prima squadra, per noi era una festa, non c'era invidia. La sera dopo la partita, fosse serie A B o C, si festeggiava il nostro compagno. Eravamo talmente uniti che i sentimenti diversi dall'affetto, nello spogliatoio non entravano, proprio perché ci veniva spiegato che un gruppo è l'unione di tante persone per un solo obiettivo".

La Cremonese per arrivare in A, dopo circa sessant'anni, ha dovuto affidarsi al baffo di Rivolta D'Adda: Emiliano Mondonico.

"Ti dirò di più: ho anche giocato con Emiliano quando era alla Cremonese".

Che giocatore era?

"Era uno estroso, capace di farci vincere le partite da solo. Quando era in giornata era immarcabile".

C'erano anche delle volte che non aveva voglia?

"No, non dico questo, ma come tutti i giocatori di talento ogni tanto si adagiava e si specchiava nella sua bravura. L'ho poi avuto cinque anni come allenatore e ora che viviamo sulla stessa barca, visto che anche io faccio questo lavoro, siamo grandi amici. Ciò che colpisce maggiormente di Emiliano è la sua bontà d'animo. Un uomo di calcio che manca molto a questo mondo".

Il sorriso che segue ormai dà l'idea del clima instaurato tra chi scrive e l'allenatore delle giovanili grigiorosse. Su questo tema, Finardi è un fiume in piena e partendo dalla valorizzazione dei giovani, si passa al rispetto che spesso quelli alle prime armi non hanno, finendo per arrivare alla Cremonese che non riesce a salire in B, ma non ne fa un dramma, guardando il bicchiere mezzo pieno.

"Credo che un tempo ci fosse maggiore rispetto per i più grandi dello spogliatoio. Quando non ti comportavi come si doveva, arrivava anche la sberla, ma non era data con cattiveria, ma per insegnare e farti stare al tuo posto. Adesso è tutto diverso: così trovi dei ragazzi che non giocano più a calcio tutto il giorno, come poteva capitare a me, ma dopo la scuola si piazzano davanti al pc e lì finisce la loro giornata. Una cosa che noto con rammarico, più che fastidio, però è il loro approccio al calcio".

Cosa intendi dire?

"Me ne sono accorto durante la mia esperienza qui nelle giovanili della Cremonese. Il calcio a mio modo di vedere deve essere vissuto in modo naturale e bello. Deve piacerti. Invece vedo che quando vengono al campo per allenarsi, trascinano la borsa, come se fare sport sia un peso. Dovrebbero volare accidenti! E' un segno dei tempi purtroppo".

Ricollegandomi un po' alla tua ultima affermazione, quando parli apertamente di un "segno dei tempi", volevo chiederti perché secondo te una città come Cremona non riesce a tornare nel calcio che conta. Cosa manca?

"A mio parere va fatta una disamina più ampia. E' qualche anno che lavoro nel settore giovanile della Cremonese e credo che il Cavalier Arvedi (attuale proprietario della società) stia facendo un lavoro straordinario, che ha poco risalto perché si guarda ai risultati e ci si ferma lì. Ma ad un occhio attento non può sfuggire che quando è arrivato, ha chiesto espressamente di ricostruire tutto partendo dal settore giovanile. E per farlo ha scelto tutti ex giocatori che hanno militato nella Cremonese. Quindi ha chiamato me, Bencina, Montorfano, Nicoletti, Ascagni e Recaldini. C'è anche Zanchetta da quest'anno, ma non ha vissuto quella Cremonese d'oro. Credo che sia una mossa giusta, proprio perché noi abbiamo conosciuto anni fantastici con questa casacca e stiamo dando il nostro contributo per far rinascere un vivaio che ha dato giocatori come Cabrini, ma anche lo stesso Vialli, senza dimenticare Giuseppe Favalli che ha giocato per tanti anni con il Milan".

E' un argomento che lo tocca nel vivo e la foga con cui ne parla, ci fa comprendere quanta passione metta ancora nello svolgere questo ruolo.

Com'è il tuo rapporto con la città di Cremona?

"E' molto vivo e questo avviene perché è una città a misura d'uomo, dove tutto sembra fatto apposta per viverci. Con i cremonesi c'è stato feeling fin da subito e questo ha aiutato l'empatia che si è creata con loro. Questa domanda mi fa tornare al ragionamento che facevamo prima, quando mi hai chiesto le differenze tra il calcio anni '70 e quello anni '80. Guarda: ti dico che un tempo, finita la partita si andava al bar fuori lo stadio e quindi si vivevano le vittorie o le sconfitte in modo più naturale. Ci si incazzava e si discuteva con loro, a caldo, senza tanti giri di parole. Era un rapporto franco. Una cosa che oggi non c'è più ed è un peccato, perché la poesia del calcio erano anche queste chiacchierate un po' animate".

Il terreno per iniziare a parlare della sua esperienza con la Cremonese è stato tracciato. Da un Finardi più riflessivo si passa ad uno che quando si parla di campo è ancora con la testa a quando giocava. Quando si è stati giocatori, difficile che la forma mentis poi cambi, anche a distanza di anni.

La prima domanda che vogliamo farti riguarda gli spareggi. Ne hai giocati due: uno per salire in A nel 1982/83 contro Catania e Como, ed un altro per non retrocedere in B nel 1986/87 contro Cesena e Lecce, ma in entrambe le occasioni non ti è mai andata bene.

"Il primo, quello del 1982/83 lo ricordo molto bene perché il lunedì (20 giugno) mi sposai e due giorni dopo (mercoledì 22 giugno 1983) contro il Catania finì 0-0".

Nel secondo spareggio, quello del 1986/87, vi siete tolti la soddisfazione di arrivare in semifinale di Coppa Italia, eliminando tra le altre l'Inter nei quarti di finale con un doppio 1-1 e finì con il vostro successo ai rigori.

"Quell'anno secondo me finì male anche perché sprecammo tante energie per questa competizione. All'andata eravamo andati molto bene e dovevamo solo amministrare il vantaggio. Ci tenevamo ad arrivare in finale, perché quell'anno al posto nostro ci arrivò l'Atalanta che la stagione successiva andò in Coppa delle Coppe (il Napoli aveva vinto lo scudetto e in questo caso in Coppa ci andò la finalista) nonostante fosse in B. Ricordo ancora oggi che i nerazzurri arrivarono fino alle semifinali e vennero eliminati dal Malines (doppio 2-1 dei belgi)".

Con te hai avuto due compagni di squadra che non potevano passare inosservati: Alviero Chiorri. Per chi non lo conosce, Alviero era un giocatore fenomenale.

"Hai ragione, Alviero era fantastico, ma andava molto in base a come gli girava. Non aveva la cultura della competitività: amava solo divertirsi, se vinceva o perdeva, per lui non era un problema. Era fragile mentalmente più che fisicamente. Ancora oggi dopo tanti anni è ricordato non solo a Cremona, ma anche nella Sampdoria. Era soprannominato il Magico, proprio per questa idea che aveva del calcio".

L'altro è Gianluca Vialli. Era così forte già giovanissimo?

"Si, lo posso dire con certezza. Il suo segreto era quello di non aver paura di nessuno fin dalle prime apparizioni. Tu pensa che i difensori a quel tempo picchiavano come fabbri e Gianluca non si faceva intimorire. All'inizio era gracile come fisico, ma con gli anni ha messo una struttura portentosa che l'ha reso anche più potente oltre che agile".

Ci tracci un ricordo del presidente Luzzara?

"Una persona unica che ha fatto la storia della Cremonese. Con lui c'era un bel rapporto e amava davvero questi colori. Tu pensa che lui diventò presidente in maniera molto particolare. Installò le luci allo stadio ed entrò in società, per poi acquistarla dopo qualche anno. Nel calcio di quegli anni (si parla degli anni '70) era quasi normale una cosa del genere".

Siamo quasi arrivati alla fine, anche se ormai Finardi con i suoi aneddoti e la sua passione, ci trascina come un vortice.

Quando un giocatore secondo te si accorge che deve fare spazio e appendere gli scarpini al chiodo?

"Non c'è un momento particolare, sono gli stimoli e un certo modo di fare calcio che ti portano a metterti da parte. Dopo la Cremonese, io ho continuato a giocare e ho fatto le ultime stagioni nei dilettanti, prima nella Brembillese, poi nel San Paolo D'Argon. Ho smesso quando Favini e Randazzo dell'Atalanta, mi proposero di allenare le giovanili della Dea (così viene soprannominata l'Atalanta). La cosa mi intrigava e da lì ho deciso di appendere gli scarpini al chiodo".

Una delle nostre ultime domande è questa: cosa significava per una città come Cremona andare a giocare in stadi come l'"Olimpico", il "San Paolo" di Napoli o lo stesso "San Siro"?

"Per noi era una festa e nonostante fossimo dei professionisti, per noi era bello già essere lì. Abbiamo scritto pagine di storia molto importanti con questa maglia e ne sono orgoglioso e la tifoseria ancora oggi ce lo ricorda e ci vuol bene proprio per questo".

Ti incontri ogni tanto con qualche ex compagno di squadra?

"Certo certo. Lo scorso maggio alla premiazione di una targa, eravamo in 18 di quegli anni. Quando ci siamo rivisti è stato bellissimo, perché la sera abbiamo chiacchierato e mangiato insieme. Mi sto emozionando accidenti".

Vero, la sua voce un po' si è rotta dalla commozione. Questo accade quando si parla di cose che ti appassionano e ti entrano dentro.

Il tuo gol più bello in maglia grigiorossa quale è stato?

"Di gol ne ho fatti nella mia carriera e se devo dirti il più bello, ti posso dire quello a Brescia, quando vincemmo 3-2. Lo segnai su rigore. Fu importante perché ci diede la salvezza in quel campionato".

Eri soprannominato "il mudanda". Ci può spiegare il perché di questo curioso nomignolo?

"Ah si! (ride). Un amico mi diede dei pantaloncini che arrivavano al ginocchio e mi disse di essere tifoso del Manchester. Ora, a quel tempo non è che c'erano tutte le maglie come oggi. Ne avevi solo una e doveva servirti per tutta la stagione, almeno quando dovevi allenarti. Avevamo una signora - lei sì, una bandiera storica della Cremo - la signora Carla, che ci rammendava i calzini e ci lavava le divise. Figlia del vecchio magazziniere, vive ancora nell'appartamento antistante. Ora la Carla ha 90 anni. Se intervisti lei, ti dirà molte più cose di quante ne ho potute dire io. Così tornando al nomignolo, con questi pantaloncini più lunghi, sembrava di avere i mutandoni di un tempo e da lì questo "mudanda". Prima di chiudere volevo ringraziarvi. Mi hai fatto rivivere momenti bellissimi della mia vita e nonostante sia vicino ai 60 anni, non nego che mi sono emozionato. Ringrazio te, ringrazio voi di TuttoLegaPro. Avevo già letto qualche intervista di questo spazio, ma non sapevo fosse così appassionante e coinvolgente".

Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente" è per domenica 31 marzo.